Prosegue il ciclo “Contemporanei a Palazzo Borromeo” presso L’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. La mostra di giovani artisti italiani, promossa dall’Amb. Pietro Sebastiani, verrà inaugurata mercoledì 13 ottobre 2021 e rimarrà visitabile fino al 10 dicembre 2021.
L’iniziativa, volta alla promozione delle eccellenze creative del nostro Paese, intende dare voce, come suggerisce il titolo “ORA.” alle nuove generazioni capaci di raccontare il presente ed immaginare il futuro.
Il progetto sarà a cura di White Noise Gallery: sono cinque i giovanissimi artisti coinvolti, tra i più apprezzati nel panorama nazionale per la loro capacità di rappresentare con molteplici linguaggi le più interessanti istanze del contemporaneo: Clarissa Baldassarri, Cristiano Carotti, Polisonum, Alice Ronchi e Jonathan Vivacqua.
L’esposizione si svilupperà nella straordinaria cornice del chiostro di Palazzo Borromeo, che verrà punteggiato da sculture, installazioni e video. Le opere sono state pensate e selezionate per integrarsi nello spazio, in continuo dialogo con la storia del Palazzo e con le strutture antiche pre-esistenti, creando un flusso visivo ininterrotto. Al centro, invece, un’imponente opera site-specific di Jonathan Vivacqua romperà lo schema, catturando lo sguardo dei visitatori con malinconica leggerezza e offrendo un punto di vista alternativo a quello che crediamo di conoscere.
Contestualmente sarà possibile visitare l’intera collezione di Palazzo Borromeo, in cui la storia centenaria e capolavori dei grandi maestri della tradizione si fondono con le opere dei maggiori esponenti dell’arte e del design del ‘900.
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Il progetto εἰκόνα di cui fanno parte le opere “Sindone n.2” e “Lapidi” di Clarissa Baldassarri (Civitanova Marche, 1994) nasce sulla riflessione e la messa in scena della dimensione iconica e aniconica dell’opera d’arte. Il lavoro della Baldassarri si muove tra i sentieri incerti delle percezioni sensoriali, negli spazi che circondano, avvolgono e riflettono il nostro corpo, nella dimensione fisica e spirituale con cui la nostra esistenza è costretta a confrontarsi costantemente.
Clarissa Baldassarri lavora sul significato fondamentale della stratificazione e la
decostruzione della materia, della memoria, dell’immagine, sulla sovrapposizione e la scomposizione del tempo e dello spazio nella “produzione” dell’opera. L’icona, allora, l’eroina della storia dell’essere umano, viene decostruita, svuotata, indagata e ricodificata, viene invocata nella sua presenza-assenza, nel suo vuoto fisico e simbolico che genera nuove energie, nuove forme e nuove dimensioni possibili.
Cristiano Carotti (Terni, 1981) La sua ricerca si articola fra pittura, scultura ed installazione ed è basata sull’analisi della centralità del potere archetipico del simbolo nelle dinamiche sociali.
La dualità dell’Homo, tanto Naturalis quanto Mechanicus, ed il conflitto che questo dualismo crea sono il fulcro dell’ultima fase nella ricerca di Carotti. Questo nuovo ciclo, inaugurato dalla presentazione dell’installazione “Cella” nel Battistero di Pietrasanta, si definisce come una riconquista da parte della natura degli spazi che le sono stati sottratti.
Geometrie naturali, alveari o nidi, crescono naturalmente su manufatti abbandonati creando panorami contrastanti con cui l’uomo possa misurarsi. Per Carotti questa riconquista rappresenta il simbolo dell’uomo che ritrova nella natura le energie curative per superare la crisi che lo sta colpendo. La creazione stessa degli alveari in ceramica assume nel lavoro di Carotti un carattere rituale e quasi sciamanico di riavvicinamento con la propria parte naturale.
Alice Ronchi (Milano, 1989) trasporta una ricerca puramente formale nel campo della fascinazione e del gesto quasi fanciullesco, creando sculture con materiali nobili in cui l’essenzialità della forma genera un’immediata empatia con lo spettatore.
La ricerca della meraviglia è al centro della sua pratica artistica: le opere sono rielaborazioni astratte di forme e figure familiari, che offrono allo spettatore un’immagine enigmatica della realtà che si apre al mondo magico.
A partire da questa visione l’artista costruisce nell’opera Talismano la sua personale versione dell’oggetto mistico al quale vengono attribuiti poteri magici propiziatori, per questa ragione è necessario conservarlo e portarlo sempre con sé.
Un simbolo luminoso in ottone si erge su due colonne in marmo rosa del Portogallo: un sole innalzato su di un altare si offre agli occhi dello spettatore come un oggetto sacrale aperto ad un’interpretazione profondamente intima.
Nell’opera Wish, concepita appositamente per Palazzo Borromeo, Jonathan Vivacqua (Como, 1986) gioca con l’armonia geometrica del chiostro. Invade lo spazio con un elemento di rottura che si pone al centro della visione, sostituendo e celando alla vista la centralità del misterioso pozzo dei desideri voluto da Ugo Jandolo durante i restauri del palazzo.
Proseguendo la sua continua ricerca sulla spazialità, l’artista mette in luce le stratificazioni della storia dell’edificio, il cui aspetto attuale è il risultato di numerose modifiche operate nel corso del tempo.
Con un lavoro incredibilmente ironico creato a partire da materiali inusuali, Vivacqua sottolinea come l’aspetto di ogni struttura architettonica, al pari di un essere vivente, sia il frutto di storie spesso complesse e inaspettate che si celano al di sotto della superficie. Sta alla curiosità del visitatore il compito di scoprirle.
Polisonum Filippo Lilli (Mottola, 1987), Donato Loforese (Castellaneta, 1984) è un collettivo di ricerca artistica che utilizza il suono come metodo e dispositivo di indagine per esplorare le metamorfosi nei luoghi della storia e della contemporaneità, nei paesaggi e nelle geografie.
Presenteranno un video, estensione del loro ultimo progetto “A cinque voci”, incentrato sulla figura di Carlo Gesualdo, Principe di Venosa e nipote dell’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo.
Il progetto nato per il millenario borgo di Gesualdo in Irpinia, si lega idealmente a Palazzo Borromeo grazie alla storia della casata.
Carlo Gesualdo, musicista e compositore visionario e madrigalista, è una figura complessa e centrale nella storia della sperimentazione musicale.
A cinque voci si costituisce in due momenti complementari.
Una performance: le cinque voci previste per i madrigali di Carlo Gesualdo eseguono il verso Ahi disperata vita, anche titolo di un’opera del compositore, attraverso otto accordi che si intrecciano in maniera imprevedibile. Polisonum chiede agli esecutori di tenere ogni accordo sino alla perdita del fiato, sino a quando la voce non si consuma, non si spegne, e il respiro trova nuovamente spazio per l’emissione di un altro suono. Un tempo comune dettato dalla resistenza del singolo corpo umano che si fa strumento, scandito da sovrapposizioni inevitabilmente dissonanti che evadono dalle righe della grammatica musicale tradizionale e si rivolgono a quella produzione, tanto aspra quanto sperimentale, a cui Carlo Gesualdo ha dedicato la sua vita.
La seconda, un’installazione sonora nella torre centrale del complesso fortificato che vede la composizione suonare una volta al giorno, all’imbrunire. Come un rituale laico che segna un passaggio quotidiano attraverso il suono, l’installazione si compone anche di tre lunghi drappi bianchi che fuoriescono dalla balconata della torre: mossi dal vento o immobili, agitati, calmi, sono imprevedibili come il nostro stesso respiro.